Sotto la lampada. Una lampada stile anni cinquanta. Sta sul mio scrittoio. E' la stessa alla cui luce mia madre correggeva i compiti molti decenni fa. Destino.
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Costruirsi una immagine eroica di sé, è quello che fa Ifigenia aderendo al sacrificio imposto dal padre. E' quello che facevo anche io costruendo di me un'immagine eroica, sprezzante delle vessazioni, fingevo di essere forte e normale, volevo vivere ed imporre la mia personalità. Naturalmente tutto questo era una recita che io credevo autentica, mentre dentro le ferite si scavavano e avrebbero sanguinato per sempre.
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Stasera vorrei parlare con Ursula nella vecchia casa dello sdrucciolo de Pitti. Era sera e per uno di quei casi rari della vita mi sembravano sospese le regole e gli influssi delle circostanze delle stelle familiari che influivano su di me. Era semplicemente una sera di una vita di una antica città che viveva. Ed io vivevo con essa.
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Arrivavano a casa i volumi delle edizioni di Comunità, non so se in abbonamento o un omaggio di qualcuno a mio padre. Me ne impossessai e fu il compiersi di una iniziazione. Ricordo come mi piacque "Profeti di ieri" con le grandi fotografie dei grandi filosofi dell'otto e novecento. Alcuni libri snelli, in azzurro, firmati Kierkegaard. E la molle copertina scivolosa di "Significato e fine della storia", di Karl Löwith, compulsato con appassionato interesse. Mi nascondevo dietro quei libri per non sentire la sofferenza, per non vedere come ero trascurata, osteggiata, incompresa sempre e per principio, per non vedere come attorno a me si svolgesse sempre, in ogni secondo, la silenziosa battaglia dell'odio di una donna per me, che potesse distruggermi in qualche modo, in qualsiasi modo. Ho decido di scrivere a fondo quello che vivevo e quindi a costo di sembrare inattendibile, lo faccio davvero.
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Avevo uno scialle rosso, a rete, molto grande. Lo aveva fatto una mia zia per me. Era il simbolo della mia libertà. Me ne avvolgevo la sera. Lo portavo con me in viaggio, quando sortivo clandestinamente dal collegio dove studiavo. Era il vermiglio della mia vita confusa, avida di felicità e compressa dal tormento di una famiglia che non mi amava.